MAESTRI TESSITORI DI PADOVA 
(di Alessandra Griguolo) 
      Per il Petrarca bellezza era indossare  vesti colorate e acconciare accuratamente i capelli: “Verdi panni, sanguigni,  oscuri o persi non vestì donna unquancho, né d’or capelli in bionda treccia  attorse,s ì bella com'è questa che mi spoglia d’arbitrio, et dal camin de  libertade seco mi tira” (Canzoniere, XXIX) 
        Padova sviluppò, già in  epoca romana una fiorente attività tessile, una produzione di lana ruvida e  grossa con la quale si producevano coperte, tappeti e drappi pelosi su uno o su  entrambi i lati, che venivano venduti anche a Roma. Due tipi di panni in lana:  gausapa e trilices, anch'essi molto spessi e pesanti, tanto da poter essere  segati. Sempre a Padova si sviluppa un attività artigianale incentrata sulla  lavorazione del lino, di ottima qualità e largamente esportato e del cotone,  già all'inizio del 1200, mentre nella seconda metà del secolo si organizzano e  si articolano le varie associazioni artigianali, i drappieri, i commercianti di  panni, gli addetti all'arte della lana, i linaioli, i produttori di panni  pignolati, i tintori. 
        Gualchiere alle  Torricelle Ubertino profuse un particolare impegno nell'industria tessile,  promuovendo la costruzione di nuove fabbriche di panni di lana e stabilendo  l'esenzione da tasse e gravami. 
   
        Il 25 aprile del 1342 concesse il possesso di un terreno presso i molini del  Ponte delle Torricelle a due fiorentini, Giacomo del fu Caccia e Forca di  Clario, perche vi fabbricassero delle gualchiere per la lavorazione dei panni  di lana. Le gualchiere, o folli, erano i luoghi attrezzati per la lavatura e la  dissodatura dei panni. Dopo la lavatura con acqua e sapone, o mediante una  particolare terra argillosa, quando si aveva certezza che il panno avesse perso  tutto il grasso, lo stesso veniva portato nelle gualchiere per l'infeltrimento,  destinato a renderlo impermeabile. La gualchia era una macchina che, azionata  dalla forza idraulica, batteva con i magli sui panni in modo da infittire e  infeltrire i tessuti, che poi venivano cimati, cioe ne veniva pareggiato il  pelo, lustrati e portati alle chiodare. Qui i "chiodaioli" tiravano i  pezzi in modo da togliere ogni piega e da renderli assodati, cioè ridotti in  pieghe quadrate, quindi pressati. 
   
        Gualchiere importanti a Padova erano quelle duecentesche di Santa Maria in  Vanzo e del monastero di Santa Maria di Porciglia, quelle del Portello, fondate  da Ubertino nel 1339, quelle di Prato della Valle, sviluppatesi sotto Francesco  I e quelle di Pontecorvo e di Terranegra. 
      L'installazione in città  di gualchiere, l'istituzione del "Fontego dei panni", con la funzione  di immagazzinaggio e di controllo e, più tardi, della Garzaria, contribuirono  ad elevare la qualità e la quantità dei panni padovani, non raffinati come  quelli veneziani, ma dignitosamente inseriti in un mercato in continua  espansione. La lana infatti ha bisogno di lavorazioni che presuppongono la  presenze di spazi a ciò destinati, le gualchiere, di fiumi o canali con acqua  corrente, di tecnologie e di abilità artigiana, la lana doveva essere lavata,  cardata o pettinata, filata, tessuta, mentre i panni, così ottenuti, dovevano  essere "follati", cioè sottoposti al follone, una macchina i cui  cilindri e magli, erano mossi dalla forza motrice dell'acqua corrente che  faceva girare grandi ruote a pale ad essi collegati. I panni dovevano poi  essere asciugati in apposite strutture chiamate "chiodare". La  lavorazione della lana, ed in particolare il lavaggio e la tintura, emanava  cattivi odori e tendeva ad inquinare i corsi d'acqua, per questi motivi,  Venezia preferì decentrare queste fasi di lavorazione, mantenendole a Padova, a  Vicenza e a Verona e riservandosi le fasi finali della lavorazione,  prediligendo la delicata funzione di rifinitura dei tessuti, soprattutto quelli  di maggior valore. (broccati, damaschi, velluti, veli). 
           
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